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TERRA MATER
EARTH and HEAVEN
FORTE DEI MARMI
Giugno - Agosto 2020
Piazza Dante, Via Carducci, Via Mazzini e Via IV Novembre


 

“Divinità romana che si rivela chiaramente come il risultato dello sviluppo secondario, compiutosi in epoca storica e sotto l'influsso delle idee religiose greche, dell'antica dea Tellus.
Questa ha unicamente il carattere di divinità agraria, è cioè dea della vegetazione, della semina e delle messi, senza rapporto alcuno col culto dei morti. […]
Il concetto invece della Terra Mater si è formato a Roma solo più tardi.
Il passaggio da Tellus a Terra Mater attraverso Tellus mater non è sicuro, e certamente non sarebbe avvenuto senza influenze greche.
La Terra è ora in rapporto col culto dei morti, ed è considerata come una forza divina che ha in sé i germi della vita e della morte. […]
Essa non è, però, come la Gea greca, l'elemento femminile passivo in contrapposizione all'elemento attivo maschile del cielo (Urano) o del mare (Oceano); ma è il suolo nel suo duplice significato di campo delle messi e di luogo di sepoltura. […]
È certo, però, che l'antica dea Tellus è ormai divenuta Terra Mater e rappresenta la potenza generatrice del suolo, donde ha origine la vita delle piante e degli animali e la stessa esistenza degli uomini.”

Franca Parise Badoni

Enciclopedia dell’Arte Antica (1966)

 

Dopo il grande successo della mostra personale del rinomato artista toscano Andrea Roggi, intitolata Terra Mater | Earth and Heaven, svoltasi nell’incantevole cornice della città di Lucca lo scorso anno, l’estate versiliese 2020 sarà adornata dalle monumentali opere bronzee dell’artista, quali protagoniste di una esposizione en plein air all’interno del centro storico di Forte dei Marmi.


Sette opere monumentali accompagneranno i visitatori in un percorso non soltanto di contemplazione estetica, ma soprattutto di profonda riflessione intellettuale sui temi cari allo scultore: il rapporto con la natura – intesa come Madre Terra, potenza salvifica da tutelare e proteggere –, il rapporto con le proprie radici culturali – la memoria e le tradizioni che alimentano la speranza in un futuro migliore – ed il rapporto con il tempo, nel suo scorrere inesorabile. 


In armonioso dialogo con il contesto storico e sociale della cittadina versiliese, le monumentali sculture di Roggi sono strutture estremamente raffinate che già ad un primo sguardo colpiscono per la grande perizia tecnica coniugata a soggetti oscillanti tra fremente figurazionetrans-figurazione spirituale ed emotiva, in perpetua esaltazione della potenza della Madre Terra, fil rouge e titolo dell’esposizione.


Il recupero di un equilibrio, la percezione di una comune sensibilità, la necessità di invertire il corso, oggi troppo rapido, dei fenomeni al fine di stringere rapporti più veri tra gli individui e soprattutto per ritrovare la consapevolezza che ogni ente fondi la propria esistenza nella terra, nella materialità, nell'incontro con un substrato che tutto sostiene. 


Questa è la riflessione che Roggi propone.
In questo tempo segnato dall’incertezza e quantomai dilatato a causa della recente pandemia, l’esposizione di Roggi risulta, più che mai, un forte simbolo di speranza, un monito per ricordare che l’arte e la creatività possono – e devono – guidare verso una rinascita morale ed intellettuale.


La mostra è realizzata con il patrocinio del Comune di Forte dei Marmi, della Provincia di Lucca e della Regione Toscana

 

 

 

Terra Mater | Earth and Heaven
Una meravigliosa passeggiata versiliese nella poetica di Andrea Roggi

Solamente un connubio sublime quanto unico, come quello del mare che si incontra con le montagne, avrebbe potuto originare quel marmo candido che Michelangelo seppe nobilitare, trasformandolo in opere perfette. Michelangelo riuscì a plasmare il cuore puro dei monti versiliesi, legandosi indissolubilmente a quei luoghi. Dopo di lui, molti altri artisti raggiunsero quelle cave di marmo per selezionare la materia prima ma, ancor più che per l’indiscussa bellezza della roccia, ivi si recarono per il desiderio di perpetuare un percorso sottile di scoperta di sé e del proprio estro, come il loro predecessore.

Ad oltre mezzo millennio di distanza, quel flebile sentiero indicato — forse involontariamente — da Michelangelo viene ancora percorso e, soprattutto, ampliato dall’arte di quegli individui che trovano ispirazione e consolazione fra le ruvide pareti delle Alpi Apuane. Carlo Carrà, per esempio, trascorse oltre quaranta estati dinnanzi al mare versiliese che immortalò attraverso i suoi oli su tela, strumenti che esprimono tuttora una commozione profonda e solenne.

Da numerosi anni, l’atmosfera conciliante della Versilia viene percepita e vissuta a pieno da Andrea Roggi, tant’è che egli si è stabilito a Pietrasanta dove concepisce e progetta le sue sculture e dove lavora il marmo. Gli schizzi del Maestro, conservati nella sua dimora versiliese, infatti, comunicano pace ed armonia: sono disegni che raccontano di pensieri e di idee immaginifiche tradotti in forme umane che si librano in volo oppure che si abbracciano teneramente, mutando con dinamismo in alberi fiammeggianti.

In sostanza, l’esposizione personale a cielo aperto di Roggi, dal titolo Terra Mater | Earth and Heaven, che ha avuto luogo presso Forte dei Marmi durante l’estate 2020, può essere considerata a tutti gli effetti come una naturale continuazione dell’esperienza artistica incominciata da diverso tempo in quell’area geografica. Sicuramente, il titolo dell’iniziativa è alquanto indicativo delle tematiche da sempre care al Maestro – e, nondimeno, particolarmente approfondite e ripensate negli ultimi anni - tuttavia questa mostra temporanea si è pregiata pure di svariati elementi di innovazione che si sono resi capaci di integrare il tema della Madre Terra con complessi concetti filosofici fino ad arrivare ad intuizioni pressappoco quantistiche.

Il tema della Madre Terra, cioè di quell’entità salvifica di cui ogni essere umano è figlio o figlia, che va saputo rispettare e preservare dacché primordiale germoglio di vita, corrisponde al leitmotiv dell’esposizione tutta. Non si tratta, comunque, di una mera riflessione ecologica, quella di Roggi, – quantunque anche questo messaggio sia indubbiamente presente – bensì di una concezione totalizzante capace di comprendere pure la tradizione, nel senso proprio del termine, così come l’identità e gli affetti legati al territorio di appartenenza. Tradizione, difatti, è un sostantivo che deriva dal verbo latino trado, il quale è partecipe di molteplici significati. Certamente, questo lemma può significare “tramandare” ma, d’altro canto, può assumere pure connotazioni differenti, quali “affidare” o “lasciare in eredità”. In breve, il Maestro, attraverso il suo intimo tributo alla Madre Terra, comunica sia l’urgenza di tornare ad amare il pianeta che ha nutrito per millenni il genere umano, sia l’urgenza di prendere il controllo di ciò che ci è stato lasciato in dono dalle esperienze del passato, affinché ciò possa essere utilizzato attivamente onde raggiungere – quasi alla maniera delle filosofie greche antiche – un virtuoso stato collettivo di consapevolezza ed equilibrio.

La mostra, giustappunto, è stata introdotta dall’opera Continuum, ossia una scultura astratta la cui forma ricorda una sorta di circonferenza di materia lavica, realizzata con una tecnica di fusione del bronzo, la fusione dinamica, progettata da Roggi stesso insieme alla sua equipe. Come il titolo lascia intendere, questa opera è una rappresentazione di un ciclo temporale ben preciso che può essere analizzato su più piani. Proprio come simboleggia il ciclo della vita – argomento fondamentale dell’artista, basti pensare al nome delle sue gallerie d’arte, The Circle of Life – del singolo individuo, Continuum può essere interpretata facilmente anche come una magistrale materializzazione del concetto nietzschiano di eterno divenire. Invero, quest’opera ineffabile conferisce, alla vista, un tale senso di libertà e di spazialità che, in ultima battuta, non può esistere una sola e limitante decodificazione della stessa.

Il sentiero scultoreo tracciato da Roggi è proseguito con Tempus, altra opera afferente al filone astrattista del Maestro. Simile ad una impetuosa cascata astrale di metallo fuso che termina il proprio flusso contro una dorata sfera perfetta – segno distintivo dello scultore –, Tempus può essere definita come l’universalizzazione di Continuum. L’opera non rappresenta, in questo caso, un segmento di tempo, bensì rappresenta il tempo stesso, ovverosia un titanico ente percettivo che, nondimeno, sfugge alla coscienza. Il tempo sfugge alla coscienza non tanto per la sua zenonica non-velocità, quanto per il fatto che esso potrebbe non esistere: potrebbe essere soltanto il risultato di una convenzione necessaria alla vita sociale delle persone. Così, l’astrattezza dell’opera è assolutamente strumentale a questa ombrosa ambivalenza poiché è eccellentemente capace di coniugare con sapienza l’elemento materiale, vibrante e massiccio come il bronzo, con quello formale, quasi impercettibile e caduco, come la percezione del tempo o la visione istantanea dell’acqua di una cascata.

È dentro la cornice temporale appena descritta che fioriscono le idee del Maestro relative, in senso stretto, a Terra Mater: non è un caso, effettivamente, che l’esposizione sia continuata con l’emblematica opera Fecunditas. Questa scultura, iscrivibile alla produzione degli Alberi della Vita, rappresenta la metamorfosi lieta di una figura femminile in un arbusto. La simbologia di cui si fregia l’opera d’arte in questione è tanto densa quanto organica: è indubbio che la fertilità – cioè il rigoglioso fattore vegetale – sia direttamente riconducibile alla dimensione materna – il leggiadro soggetto femminile –, ciononostante i canoni descrittivi non si limitano ad una mera attualizzazione della Grande Dea neolitica, oppostamente vengono ampliati, tant’è che riescono a raggiungere sfumature significativamente originali. Madre feconda – pare meditare Roggi – non è quella persona biologicamente partecipe di efficienti disposizioni riproduttive, al contrario è quella persona che sa entrare in simbiosi con il mondo, che è in grado, quindi, di perseguire le proprie aspirazioni senza perdere di vista i valori umani, quali gentilezza, sensibilità, raziocinio e lungimiranza. La fertilità è consapevolezza; la sterilità è ottenebramento.

Ancora una volta, l’artista ha proposto una virata dal particolare verso l’universale con la successiva scultura, dal titolo L'Amore salva il Mondo. Anche in questo caso la tematica può essere ricondotta a quella dell’Albero della Vita, tuttavia gli elementi distintivi, rispetto alla creazione precedente, sono la monumentale sfera dalle tonalità di ossido e gli amanti che divengono olivo, posti sulla sommità della stessa. L’amore corrisponde senz’altro all’ispirazione prima di tutta la scultura ma questo amore si trova sospeso in un preciso momento cronologico, ovvero si trova sospeso nell’attimo in cui, grazie alla propria identità e alla propria cultura – tratti fortemente determinati dalla Madre Terra e espressi dalle radici dell’albero –, due amanti si completano vicendevolmente e, dalla loro congiunzione quasi mistica, ha origine la speranza nel futuro – espressa dai dorati frutti che pendono dai rami. La Madre Terra, potente e compatta, ora turchese come l’acqua, ora scarlatta come il fuoco, sostiene l’amore ideale dei soggetti protagonisti, nondimeno sono essi che riescono a dominarne la forza imperitura, elevandola a vita. L’auspicio del Maestro, dunque, è evidente: amare, insieme ed imprescindibilmente, è il senso della vita, è il senso dell’umanità tutta. Si tratta di uno scopo quasi divino, naturale e spontaneo eppure, a volte, talmente tanto difficile che parrebbe atrofizzarsi.

Per mezzo della scultura Flamma Amoris, la dissertazione intorno all’amore raggiunge una conclusione. Come nelle due opere precedenti, anche in questa i protagonisti sono due amanti in procinto di trasformarsi; la pianta rappresentata, nondimeno, non è un olivo bensì un cipresso. Il titolo deriva dalle sfumature argillose che ha assunto il bronzo grazie ad un processo di patinatura a fuoco, unito al movimento energico della chioma del cipresso: queste caratteristiche, insieme, simboleggiano egregiamente la veemenza della fiamma. La coppia, dunque, brucia di passione e di amore, eppure questa vampata di cui è artefice non si lega all’elemento vegetale dell’albero come ente distruttore, al contrario vi si lega come portatore di vita. Il fuoco, in questo caso, è strumentale ad abbattere la vecchia concezione che incatena il cipresso alla dimensione mortuaria per nobilitarlo a simbolo di desiderio di luce, di desiderio di paradiso – lo stesso paradiso a cui è stato fatto riferimento nel titolo della mostra. Certo, la forma affusolata e tendente al cielo propria del cipresso ha determinato la sua presenza nei luoghi sepolcrali ma Roggi, in questo caso, intende rammentare che il paradiso in questione, ossia la distesa azzurra da cui proviene, in primavera, quella sublime brezza vespertina, è parte integrante del mondo, cioè della Madre Terra e chiunque può goderne sempre e gratuitamente.

La promenade artistica presso Forte dei Marmi è stata terminata, infine, con il monumento intitolato Immagina un Mondo Nuovo. Questa opera, paradigma del tema Imagine sviluppato negli anni dal Maestro, è costituita da innumerevoli soggetti antropomorfi che, a contatto fra loro, formano una sfera perfetta. Questa scultura è stata sicuramente scelta come conclusione dell’esposizione, giacché è vessillo di tutti i concetti espressi da Roggi: in fondo, è il genere umano che percepisce, pensa e vive i medesimi. Immagina un Mondo Nuovo rammenta che tutto lo scibile e tutti i fenomeni, in verità, avvengono nella mente degli esseri umani, i quali formano una fitta rete che viene chiamata, più semplicemente, “realtà”. In altre parole, l’opera in questione porge un arrivederci ai fruitori e alle fruitrici, affermando che tutto ciò che gli esseri umani possiedono sono gli esseri umani stessi, quali fibre indispensabili di un solo tessuto infinito che resta intatto grazie all’attaccamento che ciascun componente esercita verso gli altri.

Jacopo Bucciantini

 

Il Paradiso e’ sotto i nostri piedi
cosi come sulle nostre teste

Henry David Thoreau